Dichiarazione del Comitato Politico-Esecutivo dell’Organizzazione Fedaian del popolo dell’Iran (Maggioranza)
Lunedì sera, (23 giugno 2025), il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato in un messaggio ufficiale l’accordo di cessate il fuoco tra Iran e Israele; notizia che ha rapidamente fatto il giro dei media e della scena politica mondiale. La nostra organizzazione esprime la propria soddisfazione per questa cessazione delle ostilità e auspica che il cessate il fuoco porti a una pace duratura. I dodici giorni di questa guerra, che ha preso di mira vaste aree residenziali in entrambi i Paesi, hanno causato centinaia di vittime e danni significativi alle infrastrutture. Nonostante questo pesante tributo di vite umane, la fine del conflitto è considerata un passo importante verso il mantenimento della stabilità nella regione.
Tuttavia, questo cessate il fuoco non segna semplicemente la fine di un conflitto diretto, ma l’inizio di una fase più complessa e delicata, incentrata su pressioni politiche, di sicurezza e diplomatiche a più livelli. Fin dall’inizio del conflitto, la nostra organizzazione ha giustamente e fermamente condannato l’azione militare di Israele, definendola un attacco privo di fondamento o provocazione, in totale contraddizione con i principi del diritto internazionale. Un’azione che ha violato la sovranità nazionale dell’Iran e ha seriamente minacciato la stabilità della regione.
Le operazioni militari israeliane, nome in codice “Il Risveglio del Leone”, sono iniziate con l’obiettivo dichiarato di un cambio di regime in Iran, ma sono fallite nei primi giorni di fronte alla feroce resistenza iraniana e alla rappresaglia missilistica mirata. Gli errori di valutazione da parte di Israele del clima sociale e politico iraniano sono stati la ragione principale di questa avventura militare. Ci si aspettava che l’opinione pubblica iraniana rimanesse passiva o addirittura si unisse all’attacco; ma la reazione dell’opinione pubblica, dai sostenitori ai critici del regime, è stata senza precedenti e unitaria. L’opinione pubblica iraniana si è chiaramente opposta a questa aggressione. Al contrario, l’Iran ha chiaramente dimostrato la sua deterrenza lanciando missili contro infrastrutture vitali in Israele, infliggendo un duro colpo al fragile governo Netanyahu, ancora alle prese con le pesanti conseguenze della guerra di Gaza e con l’indignazione e la rabbia globali per le vittime civili.
Di fronte a ripetuti fallimenti, il governo israeliano ha tentato di spostare l’equilibrio di potere, coinvolgendo gli Stati Uniti e interrompendo così i negoziati sul nucleare (tra Iran e Stati Uniti d’America, ndr). Attacchi aerei americani, con la partecipazione di Israele, hanno preso di mira impianti nucleari iraniani, tra cui Fordow, Natanz e Isfahan, utilizzando armi superpesanti e missili lanciati da sottomarini nell’Oceano Indiano. Nonostante questa operazione su larga scala e costosa, gli analisti militari americani hanno affermato che questi attacchi non sono riusciti a distruggere completamente impianti chiave. La risposta iraniana, incluso un attacco alla base aerea (americana) di Al-Udeidah in Qatar, coordinato con il governo del Qatar, ha dimostrato ancora una volta che l’Iran possedeva ancora la capacità di reagire e che la sua capacità militare, nonostante i danni, era stata preservata.
Nel frattempo, il Presidente Trump, insieme all’Emiro del Qatar, ha svolto un ruolo chiave nei negoziati per il cessate il fuoco. Negoziati intensi e segreti a Doha, a cui hanno partecipato rappresentanti dei tre Paesi, hanno portato a un accordo temporaneo, senza il quale la guerra avrebbe potuto intensificarsi e altri attori regionali sarebbero entrati in gioco. Il fatto che gli Stati Uniti abbiano annunciato il cessate il fuoco non come mediatori neutrali, ma come parte in causa nel conflitto, è stato di per sé un segno della complessità della situazione e della fragilità dell’equilibrio esistente.
I dodici giorni di guerra hanno anche prodotto risultati inaspettati. La coesione interna dell’Iran è stata preservata, nonostante le croniche crisi economiche e le divisioni sociali. Non si sono osservati segni di ribellione o collaborazione con il nemico nelle zone di confine o tra le minoranze etniche. Le proteste per la pace e il cessate il fuoco in diversi Paesi, il sostegno degli immigrati iraniani al diritto alla difesa nazionale e l’unanimità delle forze politiche indipendenti contro la guerra e l’intervento straniero hanno presentato un quadro che va oltre i comuni stereotipi. Molti oppositori politici, impossibilitati a tornare in patria per anni, hanno apertamente sostenuto il popolo iraniano contro l’aggressione militare.
Tuttavia, sta iniziando una fase che potrebbe rivelarsi ben più difficile di una guerra. La pressione internazionale si sta intensificando affinché l’Iran torni immediatamente al tavolo delle trattative, con particolare attenzione al suo programma missilistico e alla sua influenza regionale. I leader europei insistono sulla necessità di includere nuovi temi nei negoziati sul nucleare. Tuttavia, le infrastrutture del Paese sono danneggiate, l’esercito è sotto pressione e la società sta attraversando una crisi psicologica postbellica. Avviare negoziati in tali circostanze, senza stabilire limiti e basandosi sull’unità e la coesione interna, equivarrebbe ad accettare una struttura politica imposta dall’esterno.
A questo proposito, la amara esperienza dei negoziati condotti dai paesi occidentali con Iraq e Libia dovrebbe servire da monito. In entrambi i casi, i negoziati non hanno portato a una pace duratura, ma all’indebolimento della struttura di governo, all’occupazione militare e, in ultima analisi, al collasso del Paese. Questi esempi dimostrano che, in assenza di un equilibrio di potere e di sostegno sociale, i negoziati possono diventare uno strumento a disposizione delle potenze straniere per plasmare il futuro politico di un Paese.
Allo stesso tempo, è importante notare che, sotto il peso di sanzioni paralizzanti, le forze armate iraniane sono state costrette a sviluppare le proprie industrie di difesa, inclusa la produzione di missili e droni. Le richieste di limitare queste capacità senza revocare le sanzioni e senza aprire la strada a una legittima cooperazione economica e di difesa costituiscono una sorta di ingerenza diretta nel diritto del Paese alla difesa nazionale. La nostra risposta a queste aspettative è un appello alla revoca delle sanzioni, al ritorno dell’Iran sui mercati globali e alla creazione di accordi di sicurezza regionale basati sulla cooperazione economica; in un tale contesto, la necessità di significative spese militari diminuirebbe naturalmente.
Per superare questo ostacolo critico, la Repubblica Islamica deve impegnarsi in un’introspezione prima di agire sulla scena internazionale. Ripristinare la fiducia del pubblico, aprendo uno spazio politico, sociale e civico è una necessità vitale. Rilasciare i prigionieri di coscienza, porre fine all’incarcerazione di personalità politiche, rafforzare le istituzioni sindacali e civiche e offrire alla popolazione una piattaforma per partecipare alla ricostruzione del Paese non sono concessioni all’opposizione, ma piuttosto un prerequisito per la sopravvivenza e la stabilità interna. Nessun negoziato al mondo senza un autentico sostegno sociale sarà legittimo e sostenibile. È quindi essenziale rimanere vigili contro gli schemi imposti dal passato ed evitare di ripetere le esperienze che hanno portato a catastrofi umane e politiche.
Pur esprimendo la nostra soddisfazione per il cessate il fuoco, mettiamo in guardia contro l’amaro ricordo della fine della guerra Iran-Iraq e delle tragedie che seguirono l’adozione della Risoluzione 598, tra cui l’esecuzione di migliaia di prigionieri politici negli anni ’80, che rimane vivido nella memoria collettiva della nazione. La nostra preoccupazione per il possibile trattamento riservato dal governo a dissidenti e attivisti politici dopo la fine della guerra è molto forte, soprattutto alla luce delle costanti minacce provenienti da fazioni estremiste all’interno e attorno al governo. Allo stesso tempo, è essenziale comprendere che l’infiltrazione dei servizi segreti nemici e l’assassinio dei comandanti militari del paese sarebbero stati impossibili senza il ruolo di determinati fattori interni e reti di influenza. Un trattamento equo di questi casi deve essere accompagnato da una netta distinzione rispetto al trattamento indiscriminato in materia di sicurezza riservato ai critici politici.
Il popolo iraniano ha resistito all’aggressione militare. Chi detiene il potere deve ora ascoltare le sue legittime richieste di rispetto umano e giustizia e rimanere fermo nell’ascoltarle. Il futuro dell’Iran non dipende da potenze militari straniere, ma dall’indipendenza nel processo decisionale, dall’unità nazionale e dal riconoscimento ufficiale del popolo come principale proprietario del Paese.
Vogliamo la pace, ma una pace onorevole. Accogliamo con favore i negoziati, ma non da una posizione di debolezza. Solo facendo affidamento sulla volontà nazionale e sul dialogo interno possiamo superare questa crisi con orgoglio e stabilità.
Mercoledì (۲۵ giugno 2025)
Comitato politico-esecutivo dell’Organizzazione Fedaiana Popolare dell’Iran (Maggioranza)